Nell’universo di Lichtenstein non dovrebbe esserci posto per un’idea di spazio profondo costruttivo. Il trritorio della scultura con le sue categorie disciplinari storiche appare remotissimo da quello tutto bidimensionale su cui l’artista stava svolgendo la propria rifondazione critica dell’arte.
La cospicua produzione plastica che ci ha lasciato dovrà essere intesa in senso squisitamente concettuale proprio per la sua paradossalità, come la chive risolutiva alla comprensione di quel teorema.
Fin dagli anni 50 Lichtenstein aveva realizzato manufatti in legno, ferro e ceramica, ma anche “combine paintings con oggetti di rifiuto come bulloni, frammenti di parurti, spago e stoffa che aveva presentato in occasione della sua prima personale del 1951 alla Cerlebach Gallery a Manhattan.
Dietro suggestioni e stimoli che erano diventati un passaggio obbligato per i pittori americani in odore di espressionismo astratto. Solo nel decennio cominciano ad apparire le sculture vere e proprio, o meglio quei lavori che nel contesto della sua opera possono meritare tale definizione.
Le insegne di metallo smaltato della metropoli di New York suggeriscono all’artista spunti e soluzioni tecniche.