Le parole non racchiudono in sé l’”essenza” delle cose, anzi: nella pratica Zen esse sono considerate, spesso, un elemento fuorviante, una sorta di sottile “distrazione” al raggiungimento della autentica e profonda “comprensione” della verità, proprio perché la parola può fermarsi soltanto alla “superficie”.
“Comprendere” (dal latino cum con e prehendere prendere, appunto), indica, invece, qualcosa di più: significa fare nostro un concetto; vuol dire afferrarne l’intimità più segreta, coinvolgendo, in questo non facile processo conoscitivo (la cosiddetta “illuminazione”), ogni nostro senso, ogni nostra capacità.
Numerosissime sono le storielle Zen che, sottilmente, affrontano questo argomento…
Ve ne propongo due…
La brocca
Il maestro Pai-chang voleva scegliere un monaco cui affidare l’incarico di aprire un nuovo monastero. Convocò i suoi discepoli, pose una brocca sul pavimento e disse loro: “Sceglierò chi saprà descrivere questa brocca senza nominarla”.
“È un vaso di forma rotondeggiante, con un manico e un becco” rispose il più colto dei suoi allievi.
“È un recipiente di colore grigio e serve per contenere acqua o altri liquidi” disse un altro.
“Non è uno zoccolo” intervenne un terzo più spiritosamente.
Gli altri monaci non dissero nulla, perché erano convinti di non poter escogitare definizioni migliori.
“Non c’è nessun altro?” domandò il maestro.
Allora si alzò Kuei-shan, che nel monastero era un semplice inserviente. Egli prese la brocca in mano e la mostrò a tutti senza dire nulla. Pai-chang dichiarò:
“Kuei-shan sarà l’abate del nuovo monastero”.
Il dito e la luna
Una sera di plenilunio, il maestro Pai-chang chiamò i suoi allievi e disse loro: “Chi ha capito l’insegnamento Zen dev’essere in grado di spiegare che cos’è la luna senza nominarla”.
Uno dei discepoli pensò: “Questa volta non posso sbagliare”. Sollevò il braccio e con il dito indicò la luna.
Pai-chang gli afferrò il dito e glielo torse. “E adesso dov’è la luna?” domandò.
Il monaco si risvegliò.